Rilancio aree industriali colpite da crisi: Invitalia concede il finanziamento ma la burocrazia congela i fondi

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C’è il sì per il finanziamento, ma un cavillo legislativo ne blocca l’emissione. È la vicenda paradossale di un importante gruppo alberghiero siciliano (Dimsi Investimenti e Turismo S.r.l.) che nel 2016 ha acquisito il Saracen Sands Hotel di Isola delle Femmine e che per esso ha previsto una vera e propria rivoluzione in termini di importanti investimenti per ristrutturazione, riqualificazione e rilancio della struttura. Un piano da circa 3 milioni di euro, finanziato per 2,2 milioni da Invitalia che ne approva formalmente l’agevolazione sì, ma poi ne blocca l’emissione causando un blackout tra buone intenzioni della politica e giungla burocratica.
 
Dopo aver già investito circa sei milioni di euro negli ultimi cinque anni, nel maggio 2019, a seguito di apposito bando nazionale, Dimsi ha presentato ad Invitalia (l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa) domanda di ammissione ai benefici previsti dalla L. 181/1989 (Rilancio aree industriali colpite da crisi), per un programma di investimenti complessivamente approvato dalla stessa Invitalia nel luglio 2020.
 
Le agevolazioni concesse raggiungono un totale di circa 2,2 milioni pari al 75% dell’importo delle spese ritenute ammissibili (il restante 25% è rimasto a carico dell’azienda, che lo ha finanziato con mezzi propri). Un percorso fluido e trasparente fino a una specifica richiesta: Invitalia per erogare le liquidità richiede alternativamente o un’ipoteca di primo grado sull’immobile o una polizza fideiussoria ottenuta da un istituto bancario o assicurativo per un importo di circa un milione di euro.
 
Ma ecco il paradosso. Ad oggi non esistono compagnie assicurative (sia nazionali che internazionali) a rendersi disponibili ad emettere la fideiussione secondo lo schema preciso e categorico richiesto da Invitalia. Allora si potrebbe ricorrere agli istituti bancari che però richiederebbero un equivalente pari all’importo del finanziamento per garantirsi, ciò rappresenterebbe un evidente controsenso: se hai bisogno di un milione per garantire un milione, che senso avrebbe richiederlo?
 
Così al gruppo alberghiero non rimane altro che chiedere una garanzia ipotecaria che per Invitalia non può che essere di primo grado. Ma ecco un’altra beffa: sull’immobile – valutato da Unicredit circa 20 milioni di euro – sono già presenti altre ipoteche (normale per un’area industriale che vuole uscire da una crisi) per cifre inferiori rispetto al finanziamento richiesto e questo ne impedisce di realizzarne altre che siano di primo grado. Basterebbe un’ipoteca di appena un milione, tale ipoteca seppur di secondo grado, sarebbe garantita più che abbondantemente dal valore dell’immobile.
 
Ed è cortocircuito. Imprigionato tra l’una o l’altra condizione richiesta, il gruppo alberghiero continua a spendere fondi propri senza potere contare su questi finanziamenti che sono congelati da una burocrazia che ha il difficile e delicato compito di trasporre, nella vita quotidiana, i nobili scopi del legislatore. Negli ultimi anni, l’azienda ha dialogato con le massime Istituzioni per cercare una soluzione, ottenendo perfino il rilascio di una polizza fideiussoria (con commissioni altissime a suo carico) da parte di un noto consorzio operante a livello nazionale ma che il MISE non ha valutato accettabile in quanto ritiene i Confidi strutturalmente non in grado di garantire la riconosciuta solidità patrimoniale ed economica richiesta dalla normativa specifica.
 
Il congelamento di questi fondi ha rallentato il piano di intervento, rendendo più complicata la strada di un’impresa siciliana che sta costruendo le basi per essere all’altezza degli standard europei come richiesto dalla nostra politica, ma che proprio dalla politica e dalla sua tenaglia burocratica si è vista tradita. Ed è il paradosso.


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