Un’intrigante e affascinante storia ambientata nel V secolo a.C. nella Sicilia arcaica del romanzo d’esordio di Roberto Tedesco

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Venerdì 11 febbraio dalle ore 17:30 sino alle ore 19:00, a Spazio Cultura Libreria Macaione, via Marchese di Villabianca, 102 – Palermo, sarà presente Roberto Tedesco per il firma copie del suo romanzo d’esordio dal titolo Falaride la terra del Mito, novità editoriale pubblicata da Spazio Cultura Edizioni.
L’autore, da sempre appassionato di storia locale, giornalista pubblicista, da anni cura alcune pubblicazioni di approfondimento storico e culturale della Sicilia.
il libro è già disponibile nelle librerie e negli store online e in versione e-Book.
Per l’occasione sarà trasmessa una diretta sui canali social di Spazio Cultura Libreria Macaione https://www.facebook.com/spazioculturalibri la presentazione del libro con l’autore e il direttore editoriale Biagio Balistreri, tra una firma e l’altra, con inizio dalle ore 18:00 con interventi a sorpresa da parte dei lettori presenti.

L’ingresso in libreria sarà consentito soltanto ai possessori del green pass e contingentato secondo le normative anti-Covid vigenti.
Un’ intrigante e affascinante storia ambientata nel V secolo a.C., nella Sicilia arcaica, dove i protagonisti principali sono Falaride, tiranno di Akragas, e Stesicoro, il poeta arcaico tra i primi a istituire un coro per il canto citarodico.
Trecento pagine di storia antica della Sicilia dove il mito e la storia si miscelano in un connubio di eventi realmente accaduti con l’inventiva dell’autore. Si tratta di un romanzo storico ambientato nell’anno 554 a.C., dove non mancano le avvincenti battaglie, le passioni e le descrizioni dei luoghi come quelli di Himera e di Akragas, l’attuale Agrigento.
“Gli eventi narrati sono in parte frutto della mia fantasia, anche se molte notizie sono state attinte dalle fonti antiche, inesauribile ricchezza di aneddoti in cui spesso mi sono affidato alle mie emozioni” dice l’autore Roberto Tedesco “di certo i due protagonisti, Stesicoro e Falaride, sono realmente esistiti, così com’è stato accertato che tra di loro non dovette scorrere buon sangue.

Almeno secondo quanto ci riferisce il grande filosofo Aristotele a proposito di una favola del Cervo e del Cavallo. Volutamente non mi sono sottratto dal narrare le passioni dei protagonisti. Ecco che i personaggi realmente esistiti interagiscono con quelli della mia immaginazione. Con questo spirito prendono forma le conversazioni tra i fratelli Mamertino, Lionato e Stesicoro, ma anche quelle con il tiranno Falaride e il figlio Diofobo. Il mio auspicio è che questa lettura possa suscitare interesse per l’antica storia di Himera, un tempo tra le più importanti città della Sicilia.” Il disegno di copertina è stato disegnato dall’artista piazzese Concetto Parlascino dove viene rappresentato il famoso toro di “Falaride”.

“L’ottima scelta di non sottrarsi dal narrare le passioni dei protagonisti” dice Biagio Balistreri, direttore della collana Spazio Narrativa “ha reso questo romanzo godibilissimo per tutti i lettori, anche per quelli che amano un po’ meno i romanzi storici, che tuttavia vanno sempre più affollando la nostra collana. Roberto Tedesco è attentissimo a fornire con precisione, ma senza pedanteria, i dettagli storici del racconto, che mostra una Sicilia politica con molti tratti in comune con l’Europa di oggi, e nello stesso tempo fornisce spessore umano a tutti i personaggi, reali o immaginari. Ciò gli consente di narrare anche una delicatissima storia d’amore, che attraversa tutto il romanzo e, peraltro, lo conclude.”
“Si tratta di un progetto editoriale, che sin dalla prima lettura mi ha entusiasmato” conclude l’editore Nicola Macaione “nonostante il momento particolare, in cui la ripresa alla normalità è a rilento, il nostro gruppo editoriale ha voluto aprire il nuovo anno con l’uscita del romanzo d’esordio di Roberto Tedesco. Si tratta di un libro avvincente con numerosi aneddoti storici che l’autore ha recuperato direttamente dalle fonti antiche.” Brevi notizie storiche su Stesicoro Tisia di Himera detto Stesicoro fu il primo che ordinò un coro accompagnandosi con il suono della cetra. Egli nacque intorno al periodo della trentasettesima Olimpiade (632 – 629 a.C.), forse a Himera o a Matauro (Gioia Tauro). Secondo i compilatori del Lessico Suda, Stesicoro era un poeta lirico. E per primo istituì un coro per il canto citarodico. In epoca bizantina, era collocato tra i poeti corali al pari di Pindaro, Bacchilide, Saffo, Anacreonte, Simonide, Ibico, Alceo e Alcmane. La peculiare rilevanza che egli ebbe nella storia della citarodia è da attribuire a due motivi. Il primo perché sostenitore della trattazione dei miti come parte essenziale. Il secondo perché è considerato uno dei primi ad aver portato dei rinnovamenti d’ordine metrico musicale con l’utilizzo della ripartizione triadica (triade strofica). Tra le opere a noi note vanno evidenziate, oltre la Gerioneide, quella dedicata a Elena, con la descrizione della fuga da Sparta verso Troia, con l’amato Paride; argomento che procurò a Stesicoro non poche complicazioni. Infatti, secondo la leggenda, l’ira di Elena fu causa della perdita della vista.Pur di placare gli animi dei devoti della regina di Sparta, creatura divina, Stesicoro dovette rimediare scrivendo un altro carme, con una ritrattazione comunemente nota con il nome di Palinodia. Trattasi di un componimento poetico consistente in
una smentita delle offese rivolte a Elena. Stesicoro, dunque, dovette specificare che non si trattava della moglie di Menelao, bensì di un simulacro (eidolon) della regina. Quest’ultimo giunse a Troia su un bastimento, mentre la vera Elena si trovava in Egitto. Con questo nuovo adattamento la leggenda narra che Stesicoro riottenne la vista. Stesicoro morì a Catania durante il periodo della cinquantaseiesima Olimpiade (556 – 553 a.C.).
Brevi notizie storiche su Falaride Fu il tiranno di Akragas (l’attuale Agrigento) dal 570 a.C. fino alla morte, presumibilmente avvenuta intorno al 555/4 a.C. verosimilmente a causa di una insurrezione popolare. Secondo alcune fonti antiche, è probabile che Falaride raggiunse il potere approfittando della sua posizione di appaltatore delle tasse/magistrato. Grazie a questa carica pubblica realizzò una cinta muraria e numerosi edifici pubblici concentrando su di sé un potere smisurato.

Secondo il cronista storico Diodoro Siculo Falaride, appena raggiunto il potere, iniziò una serie di campagne espansionistiche militari che gli permisero di estendere il territorio di Akragas in direzione di Ecnomo divenendo di fatto il confine con Gela. Con questa espansione Akragas acquisì il controllo di una delle vie di penetrazione più importanti verso l’interno dell’isola, riuscendo ad imporsi al pari della sua città fondatrice Gela. Akragas, nell’arco di un ventennio dalla fondazione, divenne così potente da estendere la sua influenza anche in direzione di Selinunte, più precisamente verso il fiume Hàlikos. Secondo Aristotele (Retorica, 1393b) il tiranno fece di tutto per allargare i confini territoriali anche a settentrione e più precisamente in direzione di Himera. Ad opporsi fu il
poeta Stesicoro con la famigerata favola del “cervo e del cavallo” che mandò in fumo i piani di Falaride.
All’apice del successo, Falaride accrebbe la sua popolarità quando fece costruire un toro di bronzo.
L’opera venne realizzata dal fonditore Perillo di Atene e concepita per eliminare i numerosi nemici di Falaride. La vittima veniva rinchiusa all’interno del ventre dell’animale mentre sotto si accendeva un fuoco. Il metallo riscaldando faceva arrostire il malcapitato che era destinato a morire lentamente (Polibio, XII, 25 – Diodoro, IX, 18 – 19)). Successivamente il toro diventò bottino di guerra in occasione della disfatta di Akragas per opera dei Cartaginesi nel 406 a.C., ma venne restituito alla città in epoca successiva dai Romani nel 146 a.C, quando conquistarono Cartagine (Diodoro Siculo, Biblioteca storica, XIII, 90 e Cicerone, Verrine, IV, 85). Sul famigerato toro di Falaride anche Dante si soffermò nel canto XXVII dell’Inferno. Della crudeltà di Falaride ci riferiscono: Pindaro (Pitica I, 185) definendolo una mente spietata che bruciava le vittime nel toro di bronzo e Cicerone (Verrine, IV, 73) che lo descrive come il più crudele di tutti i tiranni.

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