
L’altro ieri ho pubblicato un interessante post in cui, come studio allegato ad un imminente progetto di censimento, si descriveva la città di Termini Imerese nel 1810.
In tal senso l’amico Ken M. Geraci in un suo commento faceva osservare di come quegli anni fossero stati particolarmente significativi per la storia di Sicilia che proprio in quel periodo incominciava a prender “confidenza” con il cosiddetto Codice Napoleonico.
Tra le novità di questo nuovo ordinamento c’era, pensate un po’, il divorzio.
E non ci crederete; ma stando a quello che ci raccontano gli storici, la prima donna italiana a farne “uso” fu proprio una siciliana.
Si trattava di Maria Paternò, una baronessa catanese che nel 1808 ottenne il divorzio con procedura d’urgenza, dopo avere accusato il marito di essere spilorcio e seviziatore.
La donna pare comunque trovò ugualmente e presto una adeguata compagnia finendo con lo sposare lo stesso avvocato che ne aveva curato la pratica.
Non so dirvi se in quegli anni anche nella mia città accadde qualcosa di simile, ma non credo.
Ad ogni buon conto, e giusto per sorridere un po’, ecco alcuni modi di dire siciliani sul matrimonio che proprio nell’ottocento erano in uso anche a Termini Imerese e secondo queste varianti.
‘Ntò matrimoniu ci voli furtuna; c’è cu sbagghia e cu addimina.
Cu si marita sta cuntentu un ghiornu, cu ammazza un porcu sta cuntentu un annu.
Tutti dicinu ca u matrimoniu è amaru, ma tutti vonni viriri si è veru.

Termini Imerese: com'era la città nel 1810
Un censimento territoriale descritto in un documento che si conserva nella Biblioteca Liciniana ci da l'esatta misura di quello che era la nostra Regia Città nel 1810. Attraverso la sua testuale lettura apprendiamo che essa era “Situata in due pianure, una che forma la parte superiore e l'altra la parte del basso alla marina. Unisce…
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