Archeologia cristiana a Palermo e nella sua provincia: ‘’Il sigillo del Vescovo Felix panormitanus’’

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Sono stati gli approcci allo studio del cristianesimo che ad oggi trovano la più  grande spiegazione del sacro per mezzo dell’archeologia, questo accade grazie alla ricostruzione dei luoghi, così da potere individuare le nostre radici ed il modo di adorare un Dio fatto carne, che trova la propria identità in un popolo che prega con fede.
 
Il popolo di Dio che costruisce luoghi ed oggetti per meglio elevarsi al mondo del sacro, affrontando le insidie dei tempi e della persecuzione fino ai giorni nostri. Ecco perché nell’esaminare i vari metodi che l’archeologo tratta nel rinvenimento di un oggetto o nello studio di un luogo dove intervenire, non si può che tenere conto, che la sua figura è parte integrante di un grande lavoro di squadra, per riportare alla luce i resti di una fede che vive ed è praticata ancora oggi. Così dallo studio delle catacombe, allo studio delle immagini e le sue figure che servivano per un culto di adorazione, con oggetti e tanto altro, che potevano servire a tutti coloro che si identificavano con la comunità cristiana adorante di un unico Signore, ‘’Gesù Cristo’’.
 
Nel semestre trascorso abbiamo affrontato lo studio dei siti d’interesse della cristianità, nati da un lavoro durato anni, e forse molto di più, ma tutto questo per la comprensione dei nostri usi e costumi che coadiuvano le altre discipline di natura umanistica e scientifica, per la risposta ad ogni tempo che può identificarsi in questo caso, con il mondo del sacro per la ricostruzione di una mappa d’azione d’interesse, su un territorio che può contribuire con notizie certe che ritornano alla luce dopo i secoli bui, ma che riscoperti dal caso, oppure da uno studio accurato secondo l’impiego di apparecchiature che vengono utilizzate per il ritrovamento di ciò che può colmare  un vuoto o dare notizie importanti, come ad informare la comunità scientifica e quella cristiana adorante.
 
Questo è il caso del ritrovamento del sigillo del Vescovo Felix dell’ antica Panormus, dove si possono mettere in evidenza tutte le dinamiche dell’organizzazione del territorio ecclesiastico della Sicilia nel periodo tardo antico e dell’ alto medioevo, fino al periodo bizantino e con l’ingresso dell’impero islamico nell’isola. Parliamo di un oggetto ritrovato nel fondo rurale di Carini, nella provincia di Palermo, nei pressi del fondo Cutietta, nella Contrada San Nicola, dove nei secoli era la sede Vescovile dello stesso FELIX , ovviamente legato da diritti sottomessi all’urbe di Palermo, secondo le antiche leggi, dove durante il proprio mandato nella descrizione del sigillo troviamo il nome dello stesso vescovo che svolgeva con lo stesso, un alto valore di legittimazione della propria autorità, nel dare l’originalità ad un atto, o altro che avesse valore legale. Insomma se nella vicina Villa Grazia di Carini (PA), una frazione ad oggi del territorio comunale della città Carini, troviamo delle bellissime e ben conservate catacombe, con affreschi ed iscrizioni epigrafiche di grande rilievo.
 
Ad oggi invece si può dare lustro a questo sigillo rinvenuto, che metteva il vescovo a capo di una delle più importanti comunità cristiane, all’unisono con quelle di Palermo e Marsala, quest’ultima nella provincia di Trapani. L’oggetto in questione infatti è composto al proprio interno da monogrammi che occupano l’intero specchio di questo ovale schiacciato, rovinato dal tempo, come si evince dall’immagine in copertina, dove si inserisce  come clausola di una legenda epigrafica. Si nota da ciò, che l’oggetto doveva contenere il nome del ‘’Vescovo Felix’’, nell’alto come a dominare la scena vi è raffigurata in rilievo la croce greca, un simbolo del cristianesimo come ad indicare la sua autenticità al mondo, poichè si era sottomessi nel nome della fede, anche 
perché la capitale dell’impero d’oriente era nel suo massimo splendore soprattutto nella comunicabilità delle regole, nei dettami a cui attenersi. Si vede nell’oggetto come la parte centrale dovesse essere iscritta da una circonferenza di perline in alto rilievo, come ad ogni iscrizione che avvenivano nel bronzo, ma si nota anche come sia giunto a noi rovinato e scalfito dagli oggetti metallici del tempo, come ad esempio: dall’aratro che solcava il terreno durante la trebbiatura.
 
Quì possiamo evidenziare come l’uso del latino, in quel periodo di corrente utilizzo, ma soprattutto negli atti avvallati dai sigilli come lo stesso ritrovato, si renda testimonianza di una grande intesa organica di un apparato amministrativo che si andava sempre di più delineando senza lasciare nulla al caso, dove l’identità prendeva autorità, anche grazie al riconoscimento che ogni sigillo (come quello ritrovato), si apponeva negli atti, in seguito divulgati e resi originali, grazie all’uso di altri elementi come la cera lecca. Quindi il sigillo carinese si può configurare 
come una grande testimonianza di una porzione della storia della chiesa in Sicilia, ma soprattutto nello studio della forma delle lettere secondo una lettura epigrafica che nasceva dalle iscrizioni funerarie per ritornare nella pratica di un’ attività amministrativa di natura gerarchica piramidale, che costituita secondo le regole dell’urbe in un modello da seguire e tramandare. Possiamo dire che il suo ritrovamento è recente, risalente circa al 1997, e misura cm 2,4 x 1,5 x 0,4 e pesa gr.8,5: ad oggi conservato presso i locali della Soprintendenza di Palermo. Lo stesso rientra per essere catalogato come una fonte scritta, una chiave di lettura come sopra descritta, ma soprattutto una presenza importante nella Sicilia occidentale, di una grande costruzione di rete comunitaria che partecipava attivamente agli editti, con la presenza costante dei propri Vescovi, che ad ogni concilio lo utilizzava a firma e presenza, per rendere validi tutte le azioni in favore della chiesa di allora.
 
Se entriamo nel capitolo delle fonti dirette con quelle indirette, dove la figura dell’ Archeologo si trova nel rintracciare una verità, nei fatti tutto questo si realizza grazie al valore delle fonti scritte, che possono trovare una valenza documentale per ritrovare traccia ed evoluzione degli oggetti impiegati per il fine dello studio in questione. Certo, i cimiteri sono delle fonti preziose per studiare l’organizzazione della chiesa, ma soprattutto la sua evoluzione nel divenire una comunità che si trasformava nei secoli in chiesa – edificio. Nei fatti con lo studio delle fonti scritte ritroviamo le prime iscrizioni incise sulle lapidi dei defunti, che riportavano il nome del trapassato a vita nuova, con brevi frasi che descrivevano il carattere, il legame con altri o parenti, le generalità, con la paternità e la maternità di provenienza. L’iscrizione funeraria intesa con l’identità del singolo che appartiene ad una comunità che ritrova la sua evoluzione nel divenire chiesa, ed accrescere il nascente archivio simbolico di una grammatica visiva che trova riscontro nella parola, grazie all’utilizzo della scrittura. Così possiamo mettere in evidenza che l’’importanza dell’iconografia
cristiana trova la propria identità nell’espressione grafica, nell’uso dei materiali o nella creazione dello stesso oggetto di studio, per mezzo dell’utilizzo della tecnica, e nella creazione di un contenuto visibile e grammaticale, che dona alla figura ed alla forma esterna la sua espressività nell’utilizzo delle sue funzioni. 
 
Ecco perchè il sigillo può spiegarsi grazie all’osservazione di queste regole, anche grazie all’utilizzo della scrittura, e dei simboli, come: le croci, le colombe, il pesce. Nei fatti nel sigillo ritroviamo il simbolo della croce, come sopra enunciato, vista come una chiara chiave di lettura nella finalità del suo utilizzo. Ma c’è di più, perché le iscrizioni greche o latine, molte volte riportavano errori nella traduzione che seguivano i suoni, e non le regole corrette di una grammatica fluente. Comunque possiamo riconfermare che l’epigrafia è la scienza delle iscrizioni, un complesso di regole utili a decifrare, leggere, tradurre, e spiegare le iscrizioni conservate dai tempi più lontani per trarne gli insegnamenti filologici, storici, antiquari che contengono gli oggetti materiali. Infatti il sigillo del Vescovo Felix che s’identifica con una lettura temporale dei tempi di Gregorio Magno, mette in risalto, come più volte a sostegno di una tesi, il suo valore nell’essere stato un elemento di grande pregio per tutta la durata del suo utilizzo, per la lettura del tempo trascorso.
 
Ma osserviamo meglio le sue iscrizioni: il sigillo del Vescovo Felix panormitanus, presenta una conformazione ovale dove gli estremi risultano fortemente rovinati ed usurati, sebbene la parte centrale è interamente leggibile con il nome del vescovo, nella parte anteriore possiamo intravedere le lettere in lingua latina (in uso corrente per il periodo), con la croce greca in alto, 
pertanto non si esclude la presenza di una ‘’S’’. Lungo il lato destro corre una profonda incisione obliqua, ma nonostante tutto il nome è ben impresso, le lettere venivano impaginate da una corona di perline come sopra scritto, che nel ritrovamento anche con un evidente danneggiamento il tutto resta ben visibile ad occhio nudo. Nel suo rovescio invece possiamo leggere la presenza di un 
monogramma fra l’occhiello e l’asta verticale, dove sono riconducibili le seguenti lettere: PORMI, nei fatti si ritiene come un’abbreviazione dell’indicazione della sede episcopale di Felice, così come accade solitamente nei sigilli dei vescovi, dando vita alla identificazione della sede del vescovo titolare del sigillo in Palermo, pertanto il tenore del rovescio sarebbe: CRUX, EPISC(OPI), 
P(AN)ORMI. Ecco perché in presenza di questo sigillo si può confermare come il Felice sia stato il pontefice romano, appunto Felice III (483-492), ed il sigillo in questione può indicare la relazione fra la sede periferica siciliana e la cancelleria pontificia. Andando avanti con la descrizione del sigillo: sullo stesso è visibile una ‘’R’’, per il quale si potrebbe pensare a Rom(anus) o piuttosto a Rom(ano)r(u)m, questo infatti a motivo dei ritrovamenti e documenti storici rientra nell’area della sigillografia ecclesiastica che ebbe inizio con papa Agapito I (535), della cui bolla è rimasto solamente il disegno perduto dell’originale, da sottolineare che un primo sigillo plumbeo pontificio conservato è quello di Adeodato (615-618).
 
Da qui si può collocare il sigillo ritrovato al VII secolo, dove la datazione del 649 trova la presenza del vescovo Felix panormitanus fra i firmatari del Concilio Lateranense indetto da papa Martino. In questo concilio indetto contro l’editto dell’Imperatore Costantino II che proibiva di parlare della volontà e delle operazioni di Cristo, si propose di affrontare la questione dell’eresia monotelita, trattando inoltre della perpetua verginità di Maria. Si può confermare come il sigillo ritrovato sia un reperto utile a testimonianza, visto l’uso della croce in maniera quasi seriale, dell’esistenza della diocesi locale di Palermo, che identifica la diocesi limitrofe come quella di Carini e Palermo in un difficile periodo di passaggio fra l’età bizantina e la successiva fase islamica. 
 
Fermo restando che l’epigrafia in genere è quel settore che considera le antiche iscrizioni specificatamente cristiane (scritte su ogni materia, tranne i manoscritti e le monete), ossia quelle che offrono un segno del loro cristianesimo, (oppure si trovano in chiese, battisteri, cimiteri ed altri oggetti), dove non possono esserci epigrafie pagane, per tale motivo focalizzandoci sul sigillo del Vescovo Felix, possiamo asserire il gradissimo contributo della crono tassi episcopale panormitana. Così ricordiamo che l’epigrafia, dal greco (epì), sopra, e (grafò), scrivo, per l’appunto la scienza delle iscrizioni, utile per la lettura di un periodo storico, e dell’importanza di un simbolo, per lo svolgimento di attività che possono aiutarci nella ricostruzione delle nostre radici cristiane, sia nei luoghi che nelle funzioni.
 
Da questo ritrovamento possiamo confermare la forte radicalità con il territorio, anche grazie allo studio dei reperti archeologici delle catacombe di Villa Grazia di Carini, che abbiamo citato prima, appartenenti alla diocesi Carini:queste ad oggi costituiscono il più vasto cimitero paleocristiano della Sicilia occidentale, a dimostrazione dei fatti che la cristianità in questa parte dell’isola era molto concentrata ed omogenea nella divulgazione della fede cristiana di quel periodo così difficile. Il sigillo del Vescovo Felice, ebbene ricordalo per la seconda volta, è conservato presso i depositi della Soprintendenza di Palermo, ed è anche grazie alle associazioni locali, e nazionali vive sul territorio che si occupano di archeologia, come: l’Archeoclub d’Italia, che ad oggi il sigillo 
ritrovato è nella conoscenza di tutti, soprattutto uno strumento che appartiene alla cultura collettiva della nostra comunità di questo secolo, che si affaccia sul mediterraneo, alla riscoperta del proprio territorio. Purtroppo poche sono le opere che trattano questo ritrovamento, un testo utilizzato per lo studio di questo reperto è stato offerto dall’opera dal titolo: Tre note di epigrafia cristiana in Sicilia, un approfondimento utile che può essere affrontato da chi muove i primi passi in questo campo d’azione, grazie ad una introduzione allo studio dell’archeologia cristiana in Sicilia.
 
Bibliografia:
-Parte monografica: Introduzione allo studio dell’archeologia cristiana, ed. San Paolo di Giovanni Liccardo
-Parte speciale: Tre note di epigrafia cristiana in Sicilia, ed. Antipodes di Giuseppe Falzone


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