25 aprile: la festa della liberazione dal gioco nazifascista

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«I vincitori non si salveranno mai, se non rispetteranno i templi e gli dei degli sconfitti».
 
È necessario ricordare per la verità storica e per rendere omaggio agli italiani del confine orientale che il 25 aprile non fu liberazione per tutti.
 
Quei giorni, infatti, per migliaia di giuliano-dalmati furono l’inizio di un incubo con la ripresa delle persecuzioni titine.
 
Nella storia del Confine Orientale quel giorno rappresenta, infatti, uno scollamento rispetto alle vicende che interessarono il resto dell’Italia.
 
Il 25 aprile del 1945 la zona di operazioni “Litorale Adriatico” era ancora sotto il controllo tedesco. Anglo-americani e partigiani di Tito erano impegnati alla “corsa per Trieste” e solamente il 30 aprile il Comitato di Liberazione Nazionale di Trieste riuscì a scatenare la vittoriosa insurrezione cittadina.
 
Una vittoria effimera, poiché il primo maggio 1945 iniziarono i terribili 40 giorni di occupazione “titina” di Trieste e poi le violenze a Fiume in Istria e nella Venezia-Giulia.
 
Circa 5 mila furono le vittime delle stragi (foibe) consumate in quei giorni di primavera dalla truppe jugoslave del maresciallo Tito nei confronti di un territorio che doveva essere annesso alla nascente Jugoslavia comunista.
 
Palmiro Togliatti, leader del Partito Comunista Italiano e di lì a poco padre costituente della Repubblica italiana, aveva esortato non solo i suoi “compagni”, ma tutti i giuliani e fiumani ad accogliere le truppe di Tito come liberatrici. Fu, invece, una nuova occupazione con finalità annessionistiche e caratterizzata da una spietata persecuzione degli oppositori.
 
Dietro il paradiso socialista si celava in realtà la velleità di conquista degli epigoni di quei nazionalisti sloveni e croati che, negli anni finali dell’Impero austro-ungarico, coltivarono il sogno di cancellare la comunità italiana a Trieste, in Istria e Dalmazia e di includere le terre miste italo-slave in una nuova unità amministrativa che fosse espressione esclusiva della comunità slava.
 
La resistenza al confine orientale italiano fu attraversata da una profonda spaccatura fra chi combatté per un’Italia libera, unita e democratica e chi fu pronto in ossequio alla fedeltà nei confronti dell’ideologia comunista, a conquistare terre italiane insanguinandole con l’orrore delle Foibe, con le deportazioni e le violenze che obbligarono all’esodo 350mila italiani.


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