Caccamo, Rosa Maria Di Cola: “Io perseguitata da uno stalker, ho denunciato ma la strada è ancora lunga”

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La giornata per dire No alla violenza sulle donne, organizzata lo scorso 25 novembre a Caccamo e dedicata a Roberta Siragusa ed a tutte le donne vittime di femminicidio, è stata l’occasione per raccontare le tristi e drammatiche storie che molte donne sono costrette a vivere quotidianamente. É una battaglia che mette a dura prova soprattutto l’aspetto psicologico. 

Ne abbiamo parlato con Rosa Maria Di Cola, presidente della Fipada e del Consiglio comunale di Caccamo, coraggiosa professionista caccamese che ha avuto la forza di denunciare il suo stalker e da allora non si è mai fermata per ottenere giustizia e sensibilizzare i giovani su questo fenomeno sempre più diffuso che miete vittime in Italia e nel mondo.

«Ho iniziato la mia battaglia nel 2017 – racconta Rosa Maria Di Cola – un’infatuazione è diventata una vera e propria ossessione.  Il mio stalker, sessant’anni, non era corrisposto e non si è rassegnato. Appostamenti, pedinamenti, messaggi di amore e infine ingiurie e minacce. La mia vita da allora è cambiata, paura di uscire, di andare al lavoro, di vivere la mia quotidianità».

Il caccamese A.G. è stato condannato in primo e secondo grado a due anni e due mesi, ma oggi è libero. Per lui misure restrittive: sospensione della patente, obbligo di firma e divieto di avvicinamento a meno di 250 metri.  Adesso si attende la Cassazione, l’udienza è fissata per il prossimo 14 dicembre.

Rosa Maria, come si vive in questa condizione?

«Non si vive bene. Un uomo che prima si insinua nella tua vita, ti perseguita fino a rovinarti l’esistenza. Da anni non rientro più sola a casa, ho sempre la sensazione di essere seguita, tendo sempre a guardarmi alle spalle, anche perché lui è libero, la vigente normativa, purtroppo, registra, ancora tanti limiti. E’ stato arrestato ma dopo tre mesi è tornato libero… Sì, c’è il divieto di avvicinamento, ma le reazioni possono essere imprevedibili. Viviamo in un piccolo paese, praticamente sono costretta ad incontrarlo ogni giorno, e ad ogni occasione la  ferita si riapre. Una ferita che,  temo, non si rimarginerà mai».

Qual è il consiglio che ti senti di dare alle donne che vivono in questa condizione?

«Il consiglio è quello di denunciare, di parlare, farsi aiutare, è difficile non avere paura ed io posso testimoniarlo perché ho avuto tanta, tanta paura, so che non è facile. Ho dovuto tenere duro per giungere alla condanna, per fortuna, sono stata sostenuta dalla mia famiglia, dagli amici più cari, dai miei legali ed anche le forze dell’ordine hanno contribuito a trovare dentro di me la forza per andare avanti e non mollare. Si tratta di una battaglia che non si può vincere da soli. Bisogna chiedere aiuto ai familiari, al parroco, alle associazioni, ai carabinieri. In una realtà come Caccamo, ma anche in tantissimi altri piccoli centri la problematica si fa più complessa perché tante donne hanno paura di essere giudicate e preferiscono tacere e sopportare. Ma a che prezzo?».

La brutta esperienza di Rosa Maria, avvocato, professionista affermata, donna di successo nel sociale e in politica, possa essere da esempio per le tante fidanzate, mogli, madri che quotidianamente sono costrette a subire dentro e fuori la propria abitazione umiliazioni e violenze psicologiche e fisiche. Il silenzio è il miglior alleato di quegli uomini che, credendosi, onnipotenti, ritengono la donna un oggetto da manipolare e gestire a proprio piacimento, dimenticando, troppo spesso, che dentro ogni persona batte un cuore e vive un’anima che va sempre e comunque rispettata. 


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