Quando un affetto si trasforma in “fantasma”

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Si chiama “ghosting”: qualcuno di caro che di colpo fa perdere le sue tracce. Una realtà sempre più diffusa, specie tra i giovani, complici i social e gli sms che rendono più superficiali e meno imbarazzanti silenzi e addii

La gente che, dopo mesi o addirittura anni di frequentazione, non si fa più sentire fino a sparire letteralmente, è sempre esistita. Ma con l’affermarsi del mondo delle relazioni virtuali, nel quale anche i rapporti con amici cari e parenti sono sempre più spesso tenuti attraverso messaggini su whatsapp, il fenomeno è cresciuto in maniera enorme, fino ad avere un nome: “ghosting”, dall’inglese ghost, fantasma.

È proprio il comportamento di chi, senza spiegazioni, interrompe bruscamente una relazione e scompare dalla vita dell’altro, rendendosi irreperibile, come se il rapporto non fosse mai esistito. Se ne parla soprattutto col riferimento a legami sentimentali, magari cominciati grazie a Facebook, Instagram, Tinder e altre app di incontri.

Ma può succedere anche con amici, magari conosciuti durante le vacanze, frequentati poi per un po’, finché gli impegni prendono il sopravvento, le telefonate sono più brevi, i messaggi si diradano, le risposte diventano monosillabiche fino a perdersi del tutto, senza un vero perché.

«In generale, il ghosting è un’azione unilaterale che, di colpo o con gradualità, prevede una sparizione totale e una serie di barriere – come il “blocco” sui social – che rende impossibile ricontattare chi lo mette in atto», aggiunge Benedetta Comazzi, psicologa a Milano.

«Il ghosting amicale è doloroso tanto quanto quello sentimentale perché c’è comunque un investimento emotivo e può suscitare una sensazione di abbandono, una frustrazione. Soprattutto se c’erano affetto e fiducia, e il legame veniva vissuto come molto significativo. Ciò che addolora è che manca la spiegazione, la possibilità di avere un confronto, una discussione, anche se conflittuale e dolorosa: manca la basa per metabolizzare la fine di un rapporto, e quindi – fatte le debite proporzioni – è come un lutto che non si riesce ad elaborare  perché una persona è scomparsa ma non si è certi che abbia lasciato questo mondo. Viene meno la parte dell’addio, del saluto e quindi della chiusura. Resta invece un punto di domanda che porta chi lo subisce a mettersi in discussione, a sentire minata la propria autostima. Ciò che ferisce di più è l’idea di non meritarsi nemmeno una spiegazione e ciò svaluta anche quello che c’è stato».

I motivi possono essere tanti: «Sono persone immature, hanno avuto un cambio di interessi, hanno conosciuto altre persone, hanno problemi personali… Di sicuro sono persone caratterizzate da una “fatica” emotiva e relazionale», spiega la psicologa. «Una delle cause più sociali è che si va sempre di più verso una ignoranza emotiva, per la quale si punta molto alla sintesi e poco all’empatia. La tecnologia non favorisce un’assunzione di responsabilità, è più facile ignorare un messaggio rispetto a dire addio a una persona che si ha di fronte, a maggior ragione per chi già per carattere e analfabetismo emotivo fatica a chiudere le relazioni». In questi casi, dopo che si è verificato che sia tutto a posto, che non vi fossero motivi gravi o impellenti per i quali la persona è sparita, «È bene non insistere nel cercarla, ma mettere un limite, tenendo a mente che il comportamento dell’altro non definisce il nostro valore: avrà i suoi motivi, le sue difficoltà, i suoi problemi. Ma questo non significa che non non siamo degni di una spiegazione o non siamo più interessanti. Se si comporta come un fantasma, il problema è certamente suo e non nostro».

Per padre Giovanni Calcara, domenicano del convento San Domenico di Palermo, «Oggi non sappiamo più distinguere più le relazioni, e chiamiamo “amicizia” la semplice conoscenza occasionale, in primis sui social, ma anche quella che nasce per la stessa frequentazione momentanea di un luogo, come una palestra, un resort di villeggiatura, un corso di cucina, una partita. Quando c’è un interesse comune, non per forza ciò deve sfociare in un’amicizia nel senso vero della parola, il legame può essere legato all’opportunità di quel momento. E quindi quando la persona non ha più questo interesse, al netto della sbadataggine o del fatto che non tutti sono attaccati h 24 ai social, dobbiamo capire che non è il caso di insistere o pretendere risposte. Senza contare che l’“amicizia” può finire anche per il nostro egocentrismo, che magari si manifesta proprio proponendo gite o uscite insieme vissute dall’altro come un’imposizione a cui non aveva il coraggio di dire di no…

Padre Giovanni Calcara

L’amicizia presuppone l’ascolto che, a sua volta, può facilitare la comprensione della possibilità che il legame divenga più solido, mentre spesso viene vissuta solo in termini utilitaristici, per il proprio tornaconto, che sia anche solo avere qualcuno con cui andare da qualche parte. In ogni caso, un amico con la A maiuscola non è legato al momento, è per sempre e resiste per decenni, travalicando anche il tempo e la distanza. Ma non per niente c’è un detto secondo il quale chi lo trova, trova un tesoro: e difficilmente ciò può avvenire sui social».

 

Mariateresa Truncellito

In “Maria con te” n. 6, del 9 febbraio

 

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