Quando i ragazzi tendono a essere poco socievoli

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Ecco cosa fare per spronare i figli a stringere nuove amicizie e far sì che non si isolino tra le mura di casa alle prese con le nuove tecnologie

Jacopo, 16 anni, è un ragazzo serio e studioso, anche troppo: un po’ nerd, con la passione per le nuove tecnologie e l’intelligenza artificiale. Non un compagnone e poco incline a socializzare.

Ma questa estate, al mare, sembrava un altro: sulla spiaggia aveva legato con un coetaneo vicino di ombrellone che lo ha introdotto nella sua compagnia di amici, ed è arrivato addirittura a uscire tutte le sere.

Ora si è di nuovo chiuso, ma ha ammesso di sentire la nostalgia degli amici del mare. E forse, di qualche ragazza…

«È normale che i genitori si preoccupino quando si rendono conto che i figli faticano nelle relazioni sociali: temono ci sia qualcosa che non va, che il ragazzo possa rimanere da solo anche nella vita adulta», conferma Benedetta Comazzi, psicologa a Milano.

«Ma il fatto che il ragazzo sia riuscito a farsi degli amici in vacanza è un buon segno, perché è evidente che ne è capace, gli interessa e gli altri lo accolgono. Quindi bisognerebbe riflettere su cosa gli impedisce di fare lo stesso nella quotidianità ordinaria, a casa, perché non ce la fa a gestire le relazioni con la stessa scioltezza. Magari sente troppo il peso degli impegni scolastici? È inserito in un contesto relazionale – oratorio, calcio, palestra… – che non lo stimola e nel quale non si trova a suo agio?».

Il problema della scarsa capacità di socializzare, insomma, è “il” problema o potrebbe essere solo il sintomo di qualcos’altro, e cioè una difficoltà più legata all’ambiente che al carattere del ragazzo?

«È comunque importante non scadere nell’ossessività, ripetendogli in continuazione “Ma perché al mare uscivi e adesso sei sempre chiuso in casa?”.

Perché il rischio è di finire per categorizzare il ragazzo, mettendogli delle etichette – è fatto così, è un nerd, è un solitario… – e non sappiamo come lui può percepire queste affermazioni, magari come un giudizio, una critica, diventando un circolo vizioso che contribuisce a creare anche l’idea che lui ha di sé: “Se tutti mi dicono che sono timido, che sono un asociale, che non so stare con gli altri, finisco per crederci”».

È importante non continuare a fargli pressione perché reagisca, perché esca e cerchi il contatto con i compagni di scuola, ricordandogli come era stato bravo a fare amicizia in spiaggia, «Perché si rischia solo di metterlo in imbarazzo, peggiorando la situazione», continua la psicologa.

«Al contrario, è più utile valorizzare l’esperienza positiva che ha fatto per rinforzare la sua autostima e la fiducia in se stesso. Infine, non è detto che il fatto di essere un nerd, di avere interessi più individuali che non prevedono interazione con gli altri sia per forza negativo: ha dimostrato che nelle relazioni ci sa stare, ma magari nella sua “asocialtà” sta coltivando delle altre capacità o risorse che potranno essere preziose per la sua realizzazione personale e professionale nel futuro. Come genitori, si potrebbe fare un passo indietro e domandarsi se davvero si conoscono gli interessi del figlio e cosa fa quando sta chiuso in camera: non per spiarlo o violare la sua privacy, ma con il fine di conoscerlo meglio e magari capire il perché di questa difficoltà relazionale in città».          

Padre Giovanni Calcara, domenicano del convento San Domenico di Palermo, pone l’accento sulla nostalgia del ragazzo – e indirettamente dei genitori – per gli amici “del mare”: «L’amicizia, come qualsiasi altro affetto, se non è sincera invece di aiutare la persona può causarle del male. Non per nulla la Sacra Scrittura dice che “chi trova un amico, trova un tesoro”.

Padre Giovanni Calcara

Il problema è che l’amicizia spesso è un modo per proiettare sugli altri i propri bisogni, desideri, attese e non un rapporto alla pari in cui si prende e si dà, tenendo conto che Gesù nel Vangelo dice “C’è più gioia nel dare che nel ricevere”.

Il punto di partenza è che nelle amicizie non bisogna aspettarsi di ricevere, ma dare: in vacanza è più facile fare amicizia, anche per i ragazzi, perché non si hanno impegni di studio o sportivi o di altro genere, si è liberi di fare ciò che si vuole, non ci sono orari e i genitori sono meno severi.

Ma è vera “Amicizia” o cameratismo momentaneo, situazione in cui si sfrutta l’attimo, condivisione di un momento che è piacevole per tutti? La distanza oggi non dovrebbe essere un problema, grazie alla tecnologia, ma fra gli adolescenti è più difficile creare legami stabili, e poi i ragazzi hanno bisogno del contatto immediato, “Ti voglio sentire, ti voglio incontrare” e videochiamate e chat potrebbero non bastare.

Più in generale, se il ragazzo si è richiuso in se stesso, i genitori dovrebbero aiutarlo a guardarsi dentro e fargli capire che la vita è bella se condivisa, anche con gli amici, perché dono così prezioso non possiamo tenerlo solo per noi stessi, si impoverisce. Occorre aprirsi con fiducia: i rapporti con gli altri, il confronto, la discussione valorizzano la nostra interiorità e ci permettono di crescere.

L’isolamento, anche quando si sta bene con se stessi, può diventare una sorta di prigione: papa Francesco invita i giovani a sognare e a lottare per realizzare i propri sogni, ma se ci isola dal contesto esistenziale tutto questo è molto più difficile».

Mariateresa Truncellito

In “Maria con te”, n. 38 del 17 settembre


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