Chico Forti: faccia a faccia con l’ingiustizia di un ergastolo negli Usa

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È il 1998.

Immaginate di aver appena vinto 80 milioni di lire, poter finalmente realizzare il sogno americano e partire alla volta di Miami, costruendo un impero tra produzioni televisive, investimenti immobiliari, matrimonio con una donna meravigliosa, aver appena messo al mondo tre figli e, magari, vantando il titolo di campion nazionale di windsurf.
Immaginate di perdere tutto, in un attimo.
Un attimo che prende le inaspettate forme di una detenzione lunga ventuno anni in un carcere di massima sicurezza: questa è la storia di Enrico Forti, Chico, italiano d’origine trentina.

Chico vive nel lussuoso complesso di William Island quando Anthony Pike, Tony, fa ingresso nella sua vita, presentato da un amico, Thomas Knott, un tedesco condannato a sei anni di detenzione per la moltitudine di truffe adoperate prima del soggiorno a Miami; condotte, queste ultime, ignote a Chico.

Anthony Pike e Thomas Knott prospettano a Chico un’offerta d’acquisto del prestigioso Pikes Hotel di Ibiza: meta ambita dai più influenti personaggi di fama mondiale; uno fra tutti, Freddie Mercury. Si scoprirà solo in seguito che Tony Pike non possedeva che il 5% dell’immobile, dunque privo di ogni diritto di vendita.
Ai limiti dell’inverosimile, sarà Chico accusato di truffa e circonvenzione di incapace ai danni di Tony, artificiosamente dipinto al processo come un vecchio affetto da demenza senile.

Ad onor del vero, l’origine dei guai per Chico è da ricercare nella realizzazione di un documentario sull’omicidio di Gianni Versace, avvenuto a Miami nel 1998; Chico decide di non farsi bastare la versione ufficiale dell’accaduto propinata dalla polizia di Miami ed inizia a scavare più a fondo del dovuto, ottenendo da un agente della polizia, Gary Schiaffo, del materiale riservato sul presunto suicidio di Andrew Cunanan, che gli permetterà di mettere in discussione la ricostruzione dei fatti delle autorità: una mossa non particolarmente gradita dalla Polizia di Miami.

In tempi ravvicinati, infatti, il ritrovamento del corpo nudo di Dale Pike, figlio di Anthony, a Sewer Beach, spiaggia prediletta dagli amanti del windsurf, configura l’occasione perfetta per far pagar all’italiano la straripante curiosità.

Il giorno successivo al rinvenimento di Dale, Chico viene informato dell’accaduto e chiamato a sottoporsi ad un vero e proprio interrogatorio.
A prendere le redini di quest’ultimo, è la detective Curter, la stessa che non si farà scrupoli a strappare le foto dei figli di Chico, gelosamente custodite nel portafoglio, annettendo la minaccia di non rivederli mai più.
A Chico, trattenuto 14 ore sotto interrogatorio, è negato il diritto all’assistenza legale; condotta che viola i cosiddetti ‘Miranda Rights’, quegli avvertimenti che la polizia giudiziaria ha l’obbligo di pronunciare a colui che risulta essere un indagato a tutti gli effetti.
“Lei ha il diritto di rimanere in silenzio. Qualsiasi cosa dirà potrà essere e sarà utilizzata contro di lei in tribunale. Ha diritto ad un avvocato durante l’interrogatorio. Se non può permettersi un avvocato, gliene sarà assegnato uno d’ufficio”.

Durante lo stesso interrogatorio, a Chico viene comunicata la notizia non veritiera di un secondo omicidio, quello di Tony Pike; è in questa occasione che Chico, con la mente annebbiata dal panico e dalla simulata circostanza prospettatagli, commette un errore che, insieme ad altri lacunosi elementi, gli costerà la sentenza di condanna: mente, negando di aver visto Dale Pike poco prima del ritrovamento.

Il giorno seguente, Chico si reca spontaneamente alla polizia per ritrattare la previa versione, dichiarando di aver visto la vittima, averla accompagnata in macchina dall’aeroporto di Fort Lauderdale fino al ristorante Rusty Pelican, non lontano dal luogo del ritrovamento del corpo.
È per questo motivo che, a detta della autorità, sarà proprio lui ad aver “condotto l’agnello al macello”.

Durante le indagini, non vi è prova alcuna, la cui gravità e fondatezza riesca ad accertare la reità dell’imputato “oltre ogni ragionevole dubbio”.
Un paio di granelli di sabbia rinvenuti sul gancio traino della macchina di Chico posta sotto sequestro, proprio a ridosso del dissequestro della vettura, secondo l’accusa riconducibili alla spiaggia adiacente al luogo del ritrovamento della vittima denudata ed una menzogna in un momento di panico in assenza di un difensore, sono le prove che condurranno la giudice Platzer a ritenere, un anno dopo, Chico Forti colpevole di omicidio di primo grado a scopo di lucro ed emanare la sentenza di condanna all’ergastolo senza condizionale.

Durante tutto il processo, Chico è rappresentato da Ira Loewy, difensore che, contestualmente e contro ogni etica, rappresenta lo Stato della Florida, quindi la stessa accusa, in un altro procedimento.

Emblematica della vicenda, risulta l’affermazione del pubblico ministero, Reid Rubin: “Lo Stato non deve provare che egli sia l’assassino al fine di dimostrare che sia lui il colpevole”.

Si tratta dello stesso prosecutor che offre a Thomas Knott un patteggiamento in cambio di una testimonianza contro Chico.

Parrebbe la trama di film, eppure è soltanto la storia di Chico Forti.

Ad oggi, è tutto nelle mani del Governo italiano, del Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Luigi Di Maio, il quale, in più occasioni, ha espresso la propria vicinanza alla causa e di recente ha rilasciato dichiarazioni assicurando il regolare svolgimento delle operazioni diplomatiche necessarie.

Un’importante iniziativa, quella di raccontarsi in un’autodifesa, è stata concretizzata grazie al lancio del libro “Una dannata commedia” ad opera di Massimo Chiodelli: fedele racconto della vicenda, che non lascia margine di dubbio circa l’ingiustizia e la perpetrazione di violazioni diritti umani e non ultima, la violazione di trattati internazionali, quale la Convenzione di Vienna.
Il silenzio assordante delle istituzioni in questi quattro lustri e più, rotto soltanto dalla voce dell’ex Ministro Terzi, ha gettato nell’ombra il caso di un cittadino italiano abbandonato dallo Stato; un uomo, figlio e padre, che non ha potuto vedere la figlia assumere tratti di una donna, ed ascoltare il figlio cambiar voce.
Non ha potuto abbracciare la madre a Natale, né tornare al windsurf, a quel mare che sapeva di casa.

Sono ormai milioni i sostenitori di Chico Forti in tutto il mondo, svariate le trasmissioni televisive che hanno messo in luce il caso, prima fra tutte, l’inchiesta realizzata da “Le Iene”.

È il 2020, sono passati ventuno anni. Chico Forti è ancora in prigione.

Contenuto a cura di Chiara Sparacino 


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