Termini Imerese, un’altra storica attività abbassa le saracinesche: addio panelle di Donna Sasà

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Un’altra storica attività commerciale di Termini Imerese chiude i battenti.
Un altro pezzo della nostra storia quotidiana, dei nostri ricordi più autentici, viene spazzato via in silenzio, nell’indifferenza generale.

Chi non ricorda il profumo del pane caldo nelle fredde mattine d’inverno, le mafalde appena sfornate che scaldavano le mani e il cuore dei tanti lavoratori e non solo.

E poi i giovani, i nottambuli, i “tiratardi”, che non potevano concludere una serata senza il classico passaggio da “Donna Sasà”.
Un panino, una gazzosa, due chiacchiere e poi a casa, con il sapore di una notte tutta termitana.

La panelleria era più di un’abitudine: era un rito collettivo, un momento di comunità.

Oggi, di quella Termini restano soltanto i ricordi.

I profumi, i sapori, le voci e le tradizioni che per decenni hanno composto l’identità della città, vengono inghiottiti da una crisi economica che continua a mordere senza tregua.

Quella che stiamo vivendo non è più una crisi passeggera: è un lento ma costante svuotamento economico, sociale e culturale della nostra città.
Negli ultimi anni, Termini Imerese ha visto chiudere decine di attività storiche, botteghe, panifici, bar, piccole imprese familiari che per generazioni hanno dato lavoro, dignità e identità al territorio.

Serrande abbassate, vetrine spente, locali vuoti: un panorama ormai familiare a chi attraversa il centro cittadino o percorre le vie dei quartieri.
A ogni chiusura corrisponde un fallimento collettivo, una perdita per l’intera comunità.

Il vuoto lasciato non è solo economico: è un colpo al cuore della città, che rischia di smarrire il senso stesso della propria esistenza.
Servirebbero politiche concrete, visioni lungimiranti, incentivi reali per sostenere chi ha ancora il coraggio di restare, di investire, di crederci.

Perché se Termini continua a perdere le sue attività, i suoi presìdi culturali e sociali, finirà per diventare una città fantasma: un luogo dove si è vissuto, ma dove non si vive più.

Dietro la saracinesca che si abbassa non c’è solo la fine di un’attività commerciale.
C’è il fallimento di un modello, c’è l’assenza di visione, c’è l’ipocrisia di chi predica sviluppo senza toccare con mano il quotidiano impoverimento del tessuto sociale.

C’è una città che perde se stessa, un po’ alla volta.

E nel vuoto lasciato da ogni chiusura, si insinua una crescente rassegnazione.

Ma una comunità che dimentica le proprie radici rischia di non avere più futuro.

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