Termini Imerese: perchè una volta si diceva “rumpiri u scaluni”?

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La foto che vedete risale al 1973 e mi ritrae, a dire il vero un pò impacciato, durante la consegna dell’anello ra zita in occasione della festa di fidanzamento. Sebbene si parli di oltre cinquanta anni fa, di certo non siamo più nell’ottocento; quando questa “ritualità” era ancora più complessa e all’importante meta si arrivava solo dopo avere superato una serie di “prove” che vedevano il coinvolgimento di vari soggetti, ivi compresa la cosiddetta “ruffiana”.
 
Una vera e propria professionista che, dietro compenso e in maniera molto discreta, faceva da tramite per mettere in contatto le famiglie e favorire il primo approccio.
 
In ogni caso, il momento in cui avveniva l’atto ufficiale, ovvero la solenne promessa di matrimonio, forse a retaggio di quel passato che fin oltre la metà del novecento era ancora in uso, soprattutto tra il ceto dei contadini, anche a Termini Imerese veniva detto “rumpiri u scaluni”. In verità pare che si trattasse di un modo di dire di importazione; che, magari confondendosi con altri “riti” previsti per l’occasione, nel tempo aveva preso il posto di quello più autoctono che era semplicemente chiamato “a trasuta ru zitu”.
 
In effetti il giorno del fidanzamento costituiva il coronamento festaiolo di un percorso lungo e faticoso frutto di varie trattative, anche di natura economica. U zitaggiu veniva infatti considerato quasi più importante dello stesso matrimonio.
 
Questo perchè la sua eventuale rottura avrebbe danneggiato in maniera irreparabile la reputazione della ragazza che, in quanto “fimmina lassata”, correva il rischio di rimanere “schetta”; ovvero zitella per tutta la vita. Ma perchè il primo approccio ufficiale era detto “rumpiri u scaluni”? Probabilmente questa definizione veniva assimilata a quella, sicuramente più comprensibile, di “rompere il ghiaccio”.
 
Infatti era quella l’occasione in cui i genitori dei ragazzi entravano in confidenza e iniziavano a chiamarsi “cumpari e cummari”. Aggiungo, per completezza di informazione, e magari potrebbe esserne proprio questo il punto di contatto lessicale, che anticamente pure a Termini Imerese c’erano piccole fabbriche in cui si produceva ghiaccio in blocchi che, forse per la sua particolare forma a parallelepipedo, veniva chiamato proprio ” u scaluni”.
Ad ogni buon conto anche il fidanzamento, così come il matrimonio, contemplava una serie di modi di dire che in qualche caso vengono ancora oggi usati. Eccovene alcuni.
 
“E’ sempri zita e mai maritata”
“I difetti di la zita s’ammuccianu cu la doti”
“Chista è a zita; cu la voli sa marita”
“Quannu a zita è bedda si marita ‘ntà chiazza e ‘ntà vanedda”
“Chista è a zita, e si chiama Sabella”
 
C’era poi un altro particolare modo di dire che ho sinora rilevato solo nel contesto contadino di Termini Imerese e che, sempre riferito alla zita, recitava così: “Muggheri di jornu e zita di notti”. Probabilmente ci si intendeva riferire al fatto che la donna sposata di giorno doveva comportasi come “fimmina di casa”, ovvero con pacatezza. Mentre di notte, nell’intimità dell’alcova, doveva mostrare esuberanza, desiderio e passione; proprio come si fa quando si è fidanzati.
Chissà se è così!
 
 

 
 
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