Oggi curiamo i nostri “vecchi”: chi si occuperà di noi in futuro?

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In una società con molti single o coppie senza figli, il sostegno alle persone anziane non
potrà essere garantito da un familiare. Servirà una rete di aiuto sociale: un esempio?
Comunità con abitazioni indipendenti unite a figure e servizi assistenziali condivisi

Secondo gli ultimi dati Istat, le famiglie in Italia sono circa 26 milioni e 200 mila. Il 36,8 per
cento (quasi 9 milioni) sono costituite da una sola persona. Le coppie senza figli sono
circa 4,5 milioni. Mentre si attendono politiche per la famiglia efficaci, che incoraggino i
giovani a formarsene una propria, manca anche una riflessione sul futuro “anziano” di
single e coppie senza figli: in un paese dove la famiglia, appunto, si è sempre fatta carico
dei bisogni della terza età – per quanto oggi sia abbastanza superata l’idea dei figli come
“bastone per la vecchiaia” – le generazioni Boomer e X (i nati dal 1945 al ‘64, e quelli dal
1965 al 1979), che magari oggi si occupano dei genitori anziani, possono contare meno su
figli che un giorno si prenderanno cura di loro. E molti pensano con ansia a cosa
succederà. «Preoccuparsi di chi si preoccuperà per noi quando non saremo più in grado di
farlo è legittimo e intrinseco nella natura umana», conferma Benedetta Comazzi, psicologa
a Milano. «Ma c’è un gap cognitivo di base, alimentato dall’approccio culturale. La nostra
società da sempre ha spinto un immaginario per il quale è la famiglia che si prende cura di
noi, per tutta la vita. Di più, naturalmente, quando le famiglie italiane erano numerose, con
schiere di nonni, fratelli, zii, cugini e parenti acquisiti, tutti pronti a supportarsi
reciprocamente. Ma il retaggio rimane, e spesso si dà per scontato che l’aiuto debba
venire da un familiare. La forza della famiglia in Italia ha veicolato valori molto importanti e
molto belli, però ci trae anche un po’ in inganno: perché la nostra percezione conseguente
è, appunto, “Non ho figli – e magari sono anche figlio unico – e allora chi si prenderà cura
di me quando sarò anziano?”, come se l’aiuto possa arrivare solo da lì». Ma nel mondo ci
sono tante altre società, forse più all’avanguardia o forse più superficiali nei legami
familiari, a seconda del punto di vista, dove ciò non è scontato e quindi si pensa a una rete
di sostegno alternativa. Continua la psicologa: «Da noi, in assenza di iniziative statali,
ciascuno può fare altrettanto, cioè “lavorare” nel corso della vita per costruirsi una mutua
rete di sostegno sociale: penso, per esempio, al figlio di amici da “adottare” come una
sorta di nipote putativo o ad amiche e amici che progettano di costituire piccole “comuni”
con abitazioni indipendenti, ma vicine, e l’aiuto di figure assistenziali condivise. Ci sono
forme di risparmio forzoso o volontario per mettere via ogni mese piccole somme destinate
a costituire un “tesoretto” per quando ci saranno nuovi bisogni di assistenza. Insomma: si
possono trovare diversi modi per accudire e per essere accuditi». Quanto alla paura del
futuro, «Quando si comincia a fare i conti col tempo che passa e bilanci su ciò che
abbiamo costruito, pensando a quanti anni ancora abbiamo a disposizione – al netto del
fatto che siamo nelle mani del Signore e quindi non possiamo saperlo – è importante
avere la sensazione di aver costruito qualcosa di generativo. Il che non significa solo aver
avuto figli e trasmesso valori, ma anche aver fatto bene il proprio lavoro, essersi impegnati
nell’associazionismo, nel volontariato, nella generosità verso gli altri… le strade sono
infinite. Più si “costruisce” e si alimenta la generatività, meno saranno angosciosi i bilanci
della maturità».
Per padre Giovanni Calcara, domenicano del convento San Domenico di Palermo, «Come
vuole un detto, “Il futuro è nelle mani di Dio”. Ma, aggiungerei, anche nella responsabilità
dell’uomo: in qualsiasi ambito si proietti il proprio futuro – affettivo, lavorativo, della terza
età, nella fragilità – bisogna tenere conto che il contesto in cui viviamo non è quello di un
tempo, e non si può dare per scontato che il legame di parentela garantisca la certezza di

Padre Giovanni Calcara

ricevere aiuto quando e come ne abbiamo bisogno: perché la necessità può essere
improvvisa e imprevista, non necessariamente in tarda età. E nemmeno si può contare sul
vicinato, perché i rapporti sono rari, sporadici, e anche i condomini sono abitati da persone
sconosciute tra loro. Ma la prevedibile fragilità può essere sostenuta con scelte oculate e
fatte per tempo: per esempio, ci sono fondi assicurativi che garantiscono assistenza. Un
single o una coppia senza figli dovrebbero ragionare, magari con l’aiuto di un consulente,
sulle possibilità che ci sono per provvedere al proprio futuro. Ma credo dovrebbe farlo
anche una coppia con figli, perché non ne possono condizionare la vita lavorativa e
personale pensando che toccherà automaticamente a loro. Negli ultimi anni stanno
cominciando a sorgere soluzioni abitative pensate per piccoli nuclei familiari che si dotano
di servizi comuni, che possono comprendere anche collaboratori domestici o persone che
si occupano di fare la spesa, andare in farmacia o in posta… In alcuni casi, è possibile
mantenere il nucleo famigliare anche in una casa di riposo. Ancora, per chi possiede una
abitazione, ma non ha grandi risorse economiche, esiste la soluzione della nuda proprietà,
con la possibilità di vendere il proprio alloggio, rimanervi per il resto della vita e disporre di
una somma di denaro per ulteriori necessità. Bisogna informarsi, così da poter
programmare tutto per tempo, finché si è in grado, anche per evitare di trovarsi in
situazioni spiacevoli, in balìa degli eventi e senza più possibilità di scegliere per sé. La
Provvidenza va aiutata ad aiutarci».

Maria Truncellito
In “Maria con te” n. 45 del 10 novembre

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