Ho chiesto ad alcuni intellettuali Caccamesi e Termitani della “Sicilitudine” in Sciascia, Pirandello, Verga e Camilleri. Ne è venuta fuori una conversazione meravigliosa, da leggere e rileggere.
A voi questo speciale Himera Live corredato anche da foto inedite. Ringrazio per la concessioni gli amici scrittori.
Antonio Capitano è scrittore e divulgatore culturale caccamese, autore di diverse pubblicazioni.

«La nostra Sicilitudine è appartenenza e nostalgia. Siamo un popolo ben definito e culturalmente coeso – ha affermato Antonio Capitano – La Sicilia si dilata e si estende, io scrivo da Roma ma u cori arriva nella terra magica di mare e di arte. E, dunque, penso sia senza fine perché rinasce e ricomincia. La Sicilia ha una nomina per chi non la conosce. Molti la visitano ma non la sanno attraversare. A me piace molto il concetto di attraversare per superare e saltare gli ostacoli.

Se il novecento ha sublimato i gattopardi, il duemila ha riportato i Florio quale dinastia da raccontare. Ma il novecento è il secolo nel quale uomini di stato ci hanno resi fieri nel mondo di una regione senza ragione e in stato di abbandono. Smantellata come la fine dei Florio e, forse, dei gattopardi. Tutto finisce e tutto rinasce. Probabilmente la Sicilitudine è una forma di resistenza e di riscatto».
Mimmo Minà, attore e regista termitano, ha così risposto: «Verga antecedendo Pirandello è più dentro alla realtà. La sua è una fotografia della condizione sociale siciliana. La roba, i vinti, il pessimismo, la povertà, sono la sua narrativa.
Pirandello guarda la Sicilitudine con distacco, non ne fa parte, semplicemente la esamina, la valuta. Sprofonda nel suo orrido abisso di silenzi, di lontananza e, attraverso il suo calendoscopio ne coglie l’opposto, il grottesco, l’amara ironia, I’inverso della realtà.

Sciascia è già un cronista, un narratore della Sicilitudine, entra nelle responsabilità, nelle colpe, negli intrecci politici e religiosi della Sicilitudine. Ed è già cronaca e denuncia.
Fino ad arrivare a Camilleri, se vogliamo, che forse il giocoliere della Sicilitudine nelle storie e nel linguaggio».
Per Mimmo Rizzo, attore, regista e scrittore caccamese, ecco il concetto di Sicilitudine: «La Sicilitudine evoca aspetti positivi e negativi dell’essere siciliani. La genesi del nostro essere è da ricercare nella storia di una terra “prostituta” nel Mediterraneo pronta a concedersi a ogni nuovo conquistatore.

Questa stratificazione millenaria di popoli e culture ha forgiato l’animo dell’Isolano e lo ha reso forte e fragile al tempo stesso: dalle rivoluzioni del Vespro e del “48”, alla rassegnazione verso il fenomeno mafioso e della mai risolta “questione meridionale”. Viviamo costantemente in quel paradosso che ha reso famoso Pirandello: una terra accogliente e generosa con chiunque venga a visitarla ma incapace di trattenere sul suo suolo i suoi giovani figli. Tutto questo è stato sapientemente trasporto da Sciascia nei suoi testi. La Sicilitudine inorgoglisce e deprime, fa sorridere e piangere».
«Da poetessa siciliana sento in me il senso della Sicilitudine, quel senso atavico che mi porto dentro che mi fa amare la mia terra in maniera sfegatata e allo stesso tempo me la fa odiare per le incompiutezze, per i contrasti, per il lassismo – ha concluso Rita Elia – Un travaglio interiore che spesso mi porta ad isolarmi, a cercare dentro di me il senso della bellezza vera ed autentica, a scrollarmi di dosso i flutti che cercano di sommergermi e rimanere ancorata alle mie radici, alle cose preziose che possediamo dentro e fuori di noi. Ed in questo isolarmi mi raffiguro alla mia isola».

Contenuto a cura di Pippo Intile