Quando i figli crescono, diventa pressante la richiesta di poter stare fuori con gli amici fino
a tarda notte: è giusto fare qualche concessione? L’importante è stabilire regole chiare…
«Voglio poter stare fuori alla sera come tutti i miei amici senza dover tornare per le
undici!»: prima o poi – ormai sempre prima – tocca a tutti i genitori sentirsi fare questa
perentoria richiesta-confronto. Il figlio o la figlia, quattordicenne quando va bene, spesso
ancora alle medie, vuole andare oltre la mezzanotte, come i coetanei ai quali padri e madri
concedono orari più elastici.
È vero che a volte i ragazzini si trovano a casa di qualcuno di
loro, talvolta anche per un “pigiama party” che prevede addirittura di dormire a casa
dell’amico e che c’è qualche adulto; ma succede che queste concessioni poi vogliano
essere estese all’andare in una sala giochi, in un cinema multisala, in giro per il paese o in
pub dove c’è musica. Il periodo scolastico sconsiglia orari sballati anche nel fine settimana
con effetto “jet lag” e dormite durante il giorno… Ma come farlo capire a ragazzini pure
giudiziosi, che vedono solo una proibizione senza senso che li rende diversi dagli altri
(magari pure più scapestrati)?
«Durante l’adolescenza e la pre-adolescenza il ragazzo e la
ragazza vivono un processo che lo/la porta a raggiungere una maggiore separazione dalle
figure genitoriali e lo realizza attraverso qualsiasi azione che gli dia la sensazione di
raggiungere una maggiore indipendenza», premette Benedetta Comazzi, psicologa a
Milano. «Quindi, anche poter decidere quando gli pare il rientro a casa ne fa parte, non è
una richiesta atipica, ma in linea con l’età. Il fatto che sia normale, però, non significa che
debba essere assecondata: è importante stabilire regole in anticipo rispetto alla prima
uscita in autonomia. Se c’è chiarezza ed è il risultato di una contrattazione col figlio – tipo
“Non ti dico alle 23 devi essere sempre a casa, ma vogliamo sapere perché vuoi stare
fuori di più, con chi; decidiamo di volta in volta, ti spiego cosa mi spaventa…” – quando la
regola viene infranta il genitore ha il diritto di arrabbiarsi. Viceversa, se non viene data la
regola, ma si impone un orario senza un perché salvo “Sei piccolo e decido io”, il rischio
della trasgressione è alto e anche la rabbia dell’adulto viene vissuta come ingiustificata».
Più che insistere sull’orario al minuto, è importante un patto di sincerità: «Far capire al
ragazzo l’importanza di dire la verità su dove va e con chi e di avvisare se ci sono cambi di
programma: trasmettendo l’idea non di voler essere invadenti, ma protettitivi, così da
poterli aiutare in caso di necessità.
Da psicologa e da mamma, dico però che c’è un
aspetto, pur legittimo, che riguarda i genitori: non è solo una questione normativa, cioè “A
mezzanotte deve essere a casa, se non ubbidisce è un ribelle”, ma bisogna riconoscere
che c’è una propria ansia da gestire, indipendente da orari o frequentazioni. Altrimenti il
rischio è quello di diventare tiranni normativi che non ottengono nulla o il contrario di ciò
che vorrebbero, spingendo l’adolescente in nome del “non mi capiscono, devono sempre
avere ragione loro” alla menzogna, al silenzio o ad altri comportamenti che poi rendono
difficile proteggerlo». Ovviamente mamma e papà devono essere d’accordo: «Da evitare
posizioni in cui c’è un genitore accondiscendente e uno severo, perché così il ragazzo
capisce che, se trasgredisce, la può sfangare. È importante, se ci fosse il superamento
dell’orario stabilito, ascoltare cosa ha da dire il figlio prima di attaccarlo perché gli si getta
addosso la propria frustrazione, ma magari ci sono motivazioni contro le quali non ha
potuto fare nulla, per esempio il ritardo del genitore che doveva accompagnare a casa tutti
o un amico che si è sentito male».
Per padre Giovanni Calcara, domenicano del convento San Domenico di Palermo, «Per gli
adulti c’è una certa difficoltà nel comprendere che i giovani hanno una dimensione
esistenziale-temporale diversa dalla nostra. Non sanno distinguere la necessità di un
tempo per un indispensabile riposo distinto dal tempo del divertimento. E quindi si lasciano

andare a comportamenti propri di gente che al mattino non si deve alzare presto, non deve
essere concentrato per studiare e fanno fatica a immaginare le conseguenze fisiche,
psicologiche sul giorno dopo e non solo. I genitori dovrebbero tenere conto non tanto del
problema degli orari in sé, ma dell’importanza di non infilarsi in certe situazioni: il pericolo
non sta tanto nell’ora notturna, ma nel luogo dove ci si trova, a fare cosa e con quale
compagnia. Ci sono locali con forti concentrazioni di persone magari più adulte, dove i
giovanissimi sono a maggiore rischio di condizionamento o di bere alcol, anche se per i
minori è vietato. In ambienti dove si ha maggiore possibilità di aiutare i ragazzi a essere
più responsabili l’orario di rientro può diventare un dettaglio: ci sono oratori che
organizzano serate a tema, idee come “ballo ma non mi sballo”. Perché è giusto che i
ragazzi si divertano e possano scaricare ansie e tensioni, anche attraverso la musica,
l’aggregazione, il ritrovarsi, ma bisogna far capire loro che devono usare sempre la testa.
Tocca ai genitori valutare la maturità del ragazzo, ma bisogna anche concedere la fiducia:
qualche esperienza spiacevole può aiutare a crescere, l’importante è che iol ragazzo sia
stato dotato degli strumenti per difendersi, come autocontrollo e responsabilità delle
proprie azioni, e sarà equilibrato anche se rientra tardi».
Mariateresa Truncellito
In “Maria con te” n. 4 del 28 gennaio