Spesso i giovani non hanno le idee chiare sull’iter universitario, cambiano spesso facoltà per la fragilità psicologica e per la realtà complessa che li confonde
A metà anno Valerio, che si era iscritto con determinazione alla facoltà di Chimica industriale, ha deciso che è “troppo noiosa” e vuole passare a Fisica, già frequentata dal fratello maggiore.
Elena, invece , che aveva scelto Relazioni internazionali, vuole cambiare con Economia perché il piano di studi le sembra troppo fumoso. Alessandro, Lettere moderne, vuole andare a Beni culturali, meno velleitario…: cambiare idea, rendersi conto “sui banchi” che il percorso di studi scelto non corrisponde alle aspettative non è un evento raro tra i ragazzi. Ma per la famiglia, oltre a dover “metabolizzare” una improvvisa deviazione da una strada intrapresa spesso con profitto ed esami già superati, comporta anche una perdita economica. Molti genitori fanno fatica a capire perché giovani adulti informati – e non ragazzini delle medie che possono essere confusi sul loro futuro o “non sapere” cosa li aspetta nel momento in cui scelgono il liceo – non siano in grado di ponderare meglio le loro scelte.
«In realtà, non solo i ragazzini possono essere confusi: di base c’è una scarsa consapevolezza dei propri bisogni, possibile a ogni età», commenta Benedetta Comazzi, psicologa a Milano. «A cui si aggiunge una attuale oggettiva incertezza e precarietà del mondo del lavoro che, d’altra parte, si scontra con la sempre più capillare specializzazione delle professioni: la scelta della facoltà universitaria spesso vincola le possibilità di movimento, con un condizionamento maggiore rispetto al passato quando anche un laureato in Filosofia poteva, nella carriera, diventare amministratore delegato di un’azienda. Ciò rende la scelta più “pensante”.
C’è anche un tema legato all’indipendenza e all’autonomia: cambiare facoltà, magari a metà del percorso di studi, consente di procrastinare il momento in cui si diventa grandi. D’altra parte, è vero che non è facile oggi rispondere alla domanda “Cosa voglio fare – e soprattutto essere – “da grande”?.
Quindi bisognerebbe riflettere a lungo prima di iscriversi a una facoltà universitaria, tenendo conto sia delle abilità, dei propri punti di forza e debolezza, che dei propri bisogni: il problema è che non tutti ne diventano consapevoli nello stesso momento, ovvero entro l’ultimo anno delle superiori, c’è a chi succede più avanti con l’età, non superando i primi esami o sostenendoli con molta fatica e quindi scontrandosi con la frustrazione e coltivando l’illusione che cambiando facoltà potrebbero essere più facili. Per prevenire queste situazioni, bisognerebbe cercare tante informazioni sul percorso di studi, parlare con chi lo frequenta e con chi lavora nell’ambito a cui si aspira, per capire se l’immaginazione trova riscontro con la realtà quotidiana di una professione. In caso di dubbio, è importante ascoltare emozioni e sensazioni: ciò che ci piace ci guida verso i nostri bisogni. In alternativa, per chi si sente rassicurato da un approccio più razionale, una volta raccolte le informazioni può aiutare stilare una lista dei pro e contro. I genitori devono sostenere i figli in questi cambiamenti, cercando di comprenderne l’origine e le ragioni per evitare che vengano reiterati: è importante aiutare il ragazzo o la ragazza a capire se vuole cambiare perché la facoltà scelta non fa per lui o è perché ha paura di diventare adulto e sta cercando di prendere tempo. L’aspetto economico è importante: in un’ottica non punitiva, si possono cercare compromessi, come far partecipare il ragazzo alle spese, così da responsabilizzarlo rispetto ai costi delle proprie scelte».
Per padre Giovanni Calcara, domenicano del convento San Domenico di Palermo, «i ragazzi oggi sono più vulnerabili, c’è una incapacità di essere coerenti con scelte che si dicono proprie e invece spesso influenzate dall’esterno, dagli amici, dalla narrazione della società e dei social….

C’è chi arriva alla fine delle superiori senza la percezione non solo delle difficoltà che comporta un determinato percorso universitario, ma anche della qualità della vita che debbono affrontare per sostenerlo, nelle scelte, nell’impegno, nei sacrifici. Ci sono professioni che promettono un buon guadagno, ma magari anche turni lavorativi notturni o festivi, frequenti viaggi all’estero, orari prolungati alla sera… Non bisogna colpevolizzare i ragazzi se cambiano idea quando scoprono aspetti che non avevano considerato, semmai bisogna sostenerli in un discernimento. Passare da una facoltà all’altra senza aver riflettuto può rivelarsi un secondo errore: ci sono enti formativi, tutor e consulenti (anche nel volontariato) che forniscono un orientamento, e potrebbero venire presi in considerazione per aiutare il giovane a fare una scelta più ponderata, cercando di capire se la causa è una difficoltà psicologica, la paura del futuro professionale o una crisi dovuta alla necessità di organizzarsi con differente metodo di studio. Concordo sull’opportunità di un coinvolgimento economico del ragazzo e della ragazza, così che capiscano la necessità di assumersi le proprie responsabilità anche quando si cambia – sia pure legittimamente – idea».
Mariateresa Truncellito
In “Maria con te” n. 11 del 16 marzo