E ora ci mancava solo l’amico immaginario 2.0

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TikTok, e ora Character AI, la app che “parla” con personaggi storici o celebrità: il mondo
della tecnologia ne inventa una al giorno e per un genitore è difficile stare al passo…

Alessandro ha scoperto che Anita, la figlia che va in prima superiore, chatta su Character
AI. Lui non sa esattamente cosa sia ed è preoccupato: non si fa in tempo a spiegare al
ragazzino di casa i rischi di TikTok – afferrati dopo essersi dotato di un proprio profilo – che
tocca informarsi per capire quale sia la nuova diavoleria che intrappola i ragazzini.

Character AI (AI sta per Intelligenza Artificiale) è una app che permette di “parlare” con
personaggi storici inventati, celebrità o personaggi auto-creati, una sorta di amico
immaginario 2.0. Come cavarsela con una tecnologia galoppante che ne inventa ogni
giorno una, a volte spaventa per cose in realtà innocue e altre invece viene sottovalutata
quando il pericolo sarebbe davvero dietro l’angolo? Per Benedetta Comazzi, psicologa a
Milano, «L’elaborazione di un amico immaginario fa parte del processo di crescita. A volte
il bambino vi ricorre in momenti particolari, per esempio quando i genitori si stanno
separando o c’è stato un evento traumatico e l’amico immaginario, che lo capisce a
prescindere, diventa una sorta di auto-consolazione. Ma la differenza è che l’amico
immaginario 2.0 interagisce con il ragazzino, e ciò apre a una serie di rischi».

È chiaro che, così come c’è stata un’evoluzione nella didattica, tutto il mondo dell’infanzia sta
diventano più assoggettato alla tecnologia: «Che per molti aspetti è positiva: può rendere
la vita dei bambini più semplice, divertente, stimolante. Ma è importante educarli a un
utilizzo responsabile», continua la psicologa. «L’AI è diversa da app e siti “normali” perché
si plasma sulla base delle nostre richieste: il rischio è quindi che i minori siano esposti a
contenuti non appropriati, perché può esserci chi, attraverso profilazione e algoritmi, “si
serva” della vulnerabilità dei più piccoli, proponendo contenuti che mirano a catturare a
lungo la loro l’attenzione, influenzarne emozioni e comportamento, e quindi finisca per
essere persino più manipolatoria.

Ancora, se l’amico immaginario “vecchia maniera” si
esauriva in se stesso, l’amico immaginario 2.0, grazie alla reale possibilità di interazione –
si pensi a domande che ricevono risposte non date dall’immaginazione stessa del
bambino, ma dal personaggio creato dalla tecnologia – può indurre a un isolamento
sociale, facendo sì che il ragazzino preferisca l’amico finto a quelli veri. È importante
riflettere anche sul perché i ragazzi oggi preferiscono chiedere un’informazione a
ChatGPT e non alla maestra o ai genitori: forse perché hanno una risposta immediata e,
soprattutto, non giudicante? L’AI risponde solo alla domanda, senza opinioni, tipo “Lo
dovresti sapere” o “L’ho spiegato la settimana scorsa” o “Hai un libro su questo
argomento”: è un’interazione che non sottopone a frustrazione, emozione che i
giovanissimi eviterebbero volentieri, mentre affrontarla è sano e indispensabile per la loro
crescita».

In ogni caso, è sconsigliato vietarne l’utilizzo: «È controproducente su molti
fronti», avverte Benedetta Comazzi. «C’è il rischio che lo facciano a nostra insaputa o in
modo ancora più in consapevole. Cerchiamo invece di dare il buon esempio: se il genitore
è il primo a chiedere a ChatGPT (un programma di AI incentrato sulla stesura di testi)
quando ha bisogno di un’informazione, non può pretendere che il figlio vada a cercarla sul
libro di scuola. Fondamentale informarsi: la distanza digitale che spesso c’è tra genitori è
figli è la prima causa di problemi. È importante che il genitore sappia come funzionano i
social e come funzionano le app di AI, perché solo conoscendoli può conoscere anche i
rischi e prevenire che il ragazzino ci finisca incastrato. È bene cercare, per quanto
possibile, di proporre app, videogiochi, supporti tecnologici che siano congruenti con l’età
del bambino o del ragazzo, anche cercando di capire quali siano i loro bisogni rispetto a
questo argomento».

È d’accordo padre Giovanni Calcara, domenicano del convento San Domenico di
Palermo: «Non è possibile non tenere conto dei mezzi che oggi la rete e i social ci offrono,
anche se bisogna stare attenti al rischio che creino alienazione, distacco dalla realtà e dai
legami veri. Ciò premesso, una volta c’erano i libri di fiabe o gli sceneggiati tv, che
alimentavano le creazioni immaginarie della fantasia.

Padre Giovanni Calcara

Oggi poter addirittura dialogare con
personaggi storici o della letteratura può essere, rispetto a un libro che incoraggia la
riflessione solitaria, una fonte di apertura mentale, un aiuto per studiare con più
divertimento, comprendere meglio un periodo, le ragioni di un condottiero, i pensieri di un
poeta. Di certo, il compito di un insegnante, ma anche di un educatore qual è un genitore,
è tenersi aggiornato per capire come i nuovi strumenti possano essere un’opportunità di
apprendimento e di confronto oppure un pericolo, ma in sé sono solo un “utensile”. I
genitori, più che allarmarsi, devono affiancarsi ai ragazzi, magari facendosi coinvolgere
proprio da loro nell’utilizzo dell’AI per capire bene opportunità e rischi, aiutarli a distinguere
quello che può essere plausibile e accettabile e quello che non lo è, sfruttando
un’occasione di incontro e confronto fra adulti e ragazzi».

Mariateresa Truncellito
In “Maria con te” n. 2 del 12 gennaio

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