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Se ne faceva largo uso soprattutto tra le famiglie del ceto popolare che, con questo termine, erano soliti indicare l’ultimo nato tra i maschi, delle allora sempre numerose figliolanze.
Quella di “cacanìru” diventava in pratica una sorta di ‘nciuria che accompagnava il “malcapitato” per buona parte della sua vita.
Con detto termine infatti, si faceva riferimento pure a quanti, sebbene già avanti con gli anni, non erano sposati; e rimanevano ancora a lungo, coccolati e viziati come bambini, in casa dei genitori.
Ma la parola “cacanìru” veniva utilizzata anche nei confronti di chi, in maniera ingenua, ovvero come un bambino inesperto, si lasciava prendere facilmente in giro; e infatti qualche anziano ancora oggi ben ricorda di come, in questo caso, si era soliti dire: “Ci cariu comu un cacanìru”!
Aggiungo, per completezza di informazione, che nella lingua siciliana, “u cacanìru”, detto anche “cacamarrùggiu”, è pure un piccolo uccello che nidifica in mezzo alla stoppie (aceddu ri troffa).
TESTO E FOTO A CURA DI NANDO CIMINO
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