Evidentemente doveva chiamarsi Salvatore; infatti, per una sua particolare caratteristica, a Termini presero a chiamarlo “Turi currìa”.
Egli infatti, così come altri ambulanti, e fin negli anni sessanta del novecento, arrivava in città con il treno girando poi le strade per vendere prodotti di vario genere. Ricordo personalmente di uno che vendeva coltelli; poi di un altro, già anziano, che arrivava alla stazione caricato di canestri; mentre, il personaggio di cui vi parlo, vendeva cinture di cuoio per i pantaloni.
Portava la sua mercanzia in una vecchia valigia di cartone; ma prima di incamminarsi per le strade prendeva alcune di quelle cinture e le appendeva in bella mostra sul collo; cosa che destava la curiosità di noi bambini che, nel vederli così penzolare, ce li faceva sembrare come fossero dei serpenti. Turi, esile e di bassa statura, pure d’estate indossava un bisunto basco nero. Era divenuto popolare anche per il suo carattere gioviale; e per questo capitava che tanti, pur non dovendo comprar nulla, si soffermassero a parlare con lui.
La sua inconfondibile abbanniata era: “Vi purtaiu a curria; ci l’aiu longa e curta…e si vi veni stritta vi ci fazzu puru u purtusu”; precisazione che ovviamente era rivolta a quanti avevano una pancia “sostanziosa”; per cui, alla currìa, occorreva fare qualche buco in più. Per tale operazione Turi si serviva di una tavoletta quadrata e di un particolare punteruolo con una impugnatura di legno, assai simile a una lesina da calzolaio.
I clienti non mancavano; anche se, a dire il vero, muratori e soprattutto contadini, quando erano a lavoro invece del cinto usavano legare i pantaloni con una cordicella di “rumaneddu” o di “liàma”. In casa, a currìa, spesso era anche uno strumento di dissuasione. Infatti veniva mostrata, agitandola in mano, ai figli disobbedienti; ma a volte anche alle mogli “capricciose” che, il padre/marito, minacciava con la classica frase: “Viri ca ti rugnu ca currìa”.
Concludo dicendovi pure che la parola siciliana “currìa”, pare derivi dal latino “corrigiam”, o più probabilmente dallo spagnolo “correa”, con l’uguale significato di cinghia.
Testo e foto a cura di Nando Cimino
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