Se il genitore non accetta la vita in RSA

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A volte chiedono di essere riportati a casa, ma non va alimentata questa illusione. Meglio
far capire che quella è la soluzione migliore

Dopo aver fatto i conti con la propria coscienza e il timore del giudizio altrui su “i figli che
non sono in grado di occuparsi dei propri genitori” – ma la situazione personale e familiare
non consentiva altre scelte – non è stato facile convincere il nonno o la nonna ad accettare
una sistemazione in una residenza sanitaria assistenziale, quelle che una volta si
chiamavano più poeticamente “case di riposo”.

Adesso il problema è che, a ogni visita del figlio, l’anziano chiede di continuo di uscirne, adducendo disagi legati a regole e orari, antipatie con i compagni di stanza, nostalgia di casa, facendo leva sui sensi dei colpa dei
familiari.

Il dispiacere è tanto, e qualche volta figli e nipoti avrebbero la tentazione di dire al
nonno o alla nonna “Tranquillo, tra poco ti riportiamo a casa”, giusto per tranquillizzarlo.
Ma è bene non cedere, perché illudere – e disilludere – una persona significa causargli
frustrazione e ulteriori sofferenze. Come comportarsi, allora, quando un anziano non vuole
restare in Rsa?

Premette Benedetta Comazzi, psicologa a Milano: «Fingere che tra poco
tornerà a casa – comportamento molto comune – è un modo per proteggere l’anziano, per
non farlo soffrire o serve a noi per tacitare il nostro senso di colpa o darci l’impressione di
non rendere definitiva la nostra decisione? Attenzione: l’illusione genera aspettative e il
fatto che poi vengano frustrate incide sul benessere psicofisico della persona molto più
della sincerità. Sapere che deve rimanere in Rsa, per quanto doloroso, consente al nonno
di attivare un processo di “elaborazione del lutto” legato alla perdita della propria
autonomia, al distacco definitivo da casa sua. Se questo non avviene, vive in una
condizione di continua attesa che diventa deleteria: il peggiore inganno è legare il ricovero
in Rsa alla salute, per esempio dicendo “Adesso cammini male, ma se ti riprenderai bene
ti riportiamo a casa”. Purtroppo le problematiche fisiche spesso col tempo peggiorano e
ciò causa una doppia batosta: la perdita dell’autonomia fisica e la sensazione di non
essere in grado di corrispondere alle aspettative dei propri cari, con la perdita
dell’autonomia nella vita quotidiana».

Fermezza, sincerità, coerenza: «Queste sono le reazioni corrette se l’anziano non vuole stare più in Rsa, altrimenti si sentirà disorientato, preso in giro», continua la psicologa.

«Se le condizioni cognitive del nonno o della nonna lo consentono, è opportuno dialogare, capire e spiegargli di cosa avrebbe bisogno, cosa gli farebbe bene, così da comprendere insieme il fatto che la Rsa può rispondere a queste esigenze meglio di quanto si potrebbe fare a casa. Senza però alimentare sensi di colpa,
con frasi tipo “Se torni, io come faccio a occuparmi anche di te?”».

Importante anche cercare una collaborazione col medico, l’infermiere e l’equipe sanitaria della Rsa, perché
si possa lavorare tutti insieme per l’obiettivo, e cioè far ambientare la persona nel nuovo
contesto. «Ancora, quando è possibile, è bene portare alla persona il necessario per farla
sentire ancora attiva in hobby e impegni che coltivava a casa: la maglia, dipingere,
riparare oggetti… Così come andare a trovarla più spesso possibile crea continuità nel
legame familiare e fa sì che il nonno o la nonna non si sentano abbandonati. Infine, è bene
ascoltare richieste e lamentele dell’anziano, ma senza dargli troppa corda, ricordandogli
con fermezza ciò che si è deciso e perché».

Ovviamente tutto ciò va adattato ai singoli casi, conclude Benedetta Comazzi: «Ci sono situazioni nelle quali è opportuno un approccio più “illusorio”, perché, per esempio, l’anziano ha un degrado cognitivo tale che
non potrebbe affrontare le spiegazioni oppure è molto fragile a livello emotivo».

Per padre Giovanni Calcara, domenicano del convento di Soriano Calabro (Vibo Valentia),
«In una società che invecchia per l’allungamento della vita media, il contemporaneo
“inverno demografico” con un sempre più acuto calo delle nascite e uno Stato che non
provvede adeguatamente ai bisogni generati da questi cambiamenti, le questioni che riguardano gli anziani e la loro cura sono all’ordine del giorno, nelle famiglie.

Gli anziani sono le radici della società e vanno preservate, anche progettando fin da ora il loro futuro:

Padre Giovanni CalcaraPadre

l’ideale sarebbero residenze collettive con spazi nei quali le persone possano continuare anche la loro attività o il loro hobby, dall’artigianato all’orto, trattandole come risorse e non come un peso, e favorendo la socialità.

Per ora, accettare l’ingresso in una Rsa potrebbe almeno essere il risultato di un accompagnamento psicologico e spirituale, che non può essere solo in capo alle famiglie: ampliando quell’attenzione agli anziani che oggi troppo spesso è confinata ai momenti delle feste o ad altre iniziative sporadiche di parrocchie o associazioni di volontariato. Se l’anziano, che già magari fatica ad accettare i suoi limiti fisici, non è adeguatamente preparato e d’accordo sul trasferimento nella struttura, il rischio è che la viva come un trauma, che si isoli, che perda la voglia di vivere perché si sente inutile e messo da parte».

 
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