Il papà in sala parto? Si, ma non a tutti i costi

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IL PAPA’ IN SALA DI PARTO? Sì, MA NON A TUTTI I COSTI

La presenza del marito può essere un importante sostegno psicologico, ma, se costretto, rischia di essere d’impaccio. Molto più importante sarà invece il suo ruolo di sostegno nei mesi successivi.

Sonia è al settimo mese di gravidanza e non vede l’ora di conoscere il suo bambino. Francesco, il futuro papà, gioisce con lei.

Ma sulla loro felicità c’è una piccola ombra: lui ha detto che non se la sente di entrare sala parto. È da sempre impressionabile e un po’ ipocondriaco, la vista del sangue lo spaventa e teme di sentirsi male. Sonia un po’ lo capisce, ma nello stesso tempo è addolorata per il fatto che Francesco perderà un momento così importante della loro vita, oltre a essere agitata per la paura di quello che la aspetta.

Ci si mettono anche le amiche, con le quali dovrà giustificarlo. Perciò un po’ spera che suo marito cambi idea, magari insistendo visto che c’è ancora tempo… «Indubbiamente per il papà è un momento importante, che segna un passaggio, perché – a differenza della mamma che lo ha portato dentro di sé per nove mesi e ha avuto modo di elaborare il fatto che una vita stava crescendo dentro di lei e che presto sarebbe arrivato un nuovo elemento nella famiglia – veder nascere il proprio figlio gli permette di acquisire la consapevolezza dell’evento e del suo ruolo, prima di trovarselo tra le braccia», premette Benedetta Comazzi, psicologa del centro polispecialistico Medikern di Milano.

«Però non bisogna assolutamente non insistere se il papà è terrorizzato dall’idea di assistere al parto. Se c’è invece solo una indecisione e qualche vago timore, può essere utile farlo confrontare con altri papà – un amico, un cognato, un fratello – che hanno già vissuto l’esperienza e l’hanno accolta in senso positivo. È comunque vero che il parto può essere evento traumatico, con conseguenze sul rapporto di coppia e comunque destabilizzante: perché l’uomo si ritrova a viverlo in modo passivo, impotente, frustrato, preoccupato, mentre assiste alla sofferenza della moglie senza poter fare niente.

In alternativa, può essere utile programmare una serie di cose che lui può fare prima: imparare massaggi da praticare durante il travaglio, assistere la donna in attività di rilassamento mentale (musica, respirazione,…). Ancora, per ridurre il senso di solitudine, di ingiustizia, di rabbia della donna si possono pianificare i compiti per lui mentre avviene il parto: tenere informati familiari e amici, per esempio, così che entrambi abbiano la sensazione di stare “lavorando” insieme per lo stesso obiettivo, la nascita di un figlio.

Si può anche decidere di far gestire in toto al papà delle future “prime volte”, come il primo cambio del pannolino a casa o il primo bagnetto. In ogni caso, è importante che la futura mamma comunichi al futuro papà le proprie sensazioni ciò che prova: non nell’ottica di farlo sentire in colpa, ma per informarlo sui suoi pensieri, consegnando a lui anche un po’ della propria frustrazione e del proprio dispiacere, dandogli così la possibilità di attivarsi per riparare in qualche modo a questa sofferenza che comunque le sta causando».

Se la futura mamma non se la sente proprio di affrontare tutto da sola, può farsi accompagnare da un’altra persona cara, come una futura nonna, una sorella, un’amica? «Sì, purché sia una persona calma, rassicurante con la quale c’è una relazione significativa, ma anche un rapporto di intimità, con la quale non emerga vergogna o disagio. Se nessuna persona ha i requisiti, meglio sola che male accompagnata: è importante avere qualcuno accanto, ma non fondamentale, perché – al netto dell’assistenza di medici e infermieri – il parto è un evento naturale che la donna affronta col proprio corpo e col proprio essere, indipendentemente da chi la circonda».

Padre Giovanni Calcara

Per padre Giovanni Calcara, domenicano del convento di Soriano Calabro (Vibo Valentia): «Che il momento del parto sia doloroso è indubbio, ma poi la donna è colei che più ne gioisce, incontrando il suo bambino. È giusto che venga condiviso con il futuro papà: innanzitutto nella decisione di aver un figlio, poi durante la gravidanza, le visite, i corsi di preparazione. Ma è anche vero che la paternità non si esaurisce certo nel momento della nascita: se c’è una paura, è bene che la donna lo accetti e cerchi il sostegno di una persona che può starle vicino davvero, e non di un uomo che lo farebbe solo “perché deve” o per non essere da meno di amici o parenti, salvo poi magari rischiare uno svenimento… Le costrizioni non sono mai una buona idea.

E il ruolo del papà, oltre che nell’opera educativa man mano che il bambino cresce, può essere recuperato subito, nei primi giorni a casa, con un aiuto fattivo nelle poppate, nella pulizia del piccolo, nell’occuparsi delle commissioni o nel tenere il bebè per qualche ora permettendo alla mamma di andare da parrucchiere. L’armonia della coppia si mantiene anche capendo che la paternità non è solo un fatto fisico, ma anche di sensibilità e quindi di una partecipazione che va valutata nel suo complesso».

 
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