L’omicidio di Vanessa, il suicidio di Antonio e… poi?

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L’ennesimo femminicidio di Vanessa Zappalà ad Acitrezza, il sesto dall’inizio dell’anno in Sicilia, s’impone nella cronaca tra ritualità del linguaggio “tragedia inaspettata, era violento ma nessuno poteva prevedere…”, retorica del sentimenti “si poteva evitare… che non accada mai più”, iniziative varie “proclamato il lutto cittadino, solenni funerali, palloncini e striscioni…”, dichiarazioni di esperti e delle forze dell’ordine, responsabili di centri antiviolenza “manca il personale, legislazione carente, non basta denunciare…”.

E poi?

In attesa della prossima tragedia e della prossima vittima, chiunque essa sia, vittima e carnefice, donna o uomo, statistiche da aggiornare, non ci possiamo permettere di tacere e di condividere alcune riflessioni che potranno sembrare amare e crude, come il sangue delle vittime e lil dolore delle famiglie le cui ferite e cicatrici, rimarranno aperte e sanguinanti.

E’ innegabile che l’attuale legislazione sia carente e insufficiente ad affrontare un fenomeno così grave, non essendo garantita la presenza attiva nelle formulazione delle sentenze di tutte le parti interessate. Per es. la tutela delle vittime e delle loro famiglie, oppure il parere vincolante di esperti e centri specializzati in tali questioni; il potenziamento di personale preparato per affrontare tali realtà, non potendosi limitare a destinare una stanzetta delle Caserme per accogliere le vittime, la destinazione di fondi adeguati per sostenere tutte quelle strutture che nel territorio possano essere presidio e punto di riferimento per tutti i soggetti interessati.

Tra il libro dei desideri e delle promesse, nel frattempo rimane l’angoscia di chi sente in pericolo, il silenzio della maggioranza degli onesti che, ricordiamolo era la paura di Martin Luter King, più che il rumore degli assassini.

Nessuna agenzia/realtà educativa è esente da questa colpa, dovendo accettare che non bastano i dibattiti nelle scuole, l’inaugurazione di panchine rosse o di sedie occupate, le veglie di preghiere e i lumini accesi.

La Chiesa nel bene o nel male, malgrado tutto, rimane ancora nei nostri territori un punto di riferimento a cui molti guardano e, magari, non perdonano il continuare a svolgere un ruolo che il più delle volte ignora la realtà in cui si trova, il linguaggio che la gente utilizza, criteri e valori che non hanno più il loro riferimento alla coscienza ma ai social e agli influencer di turno.

Le famiglie, incapaci di educare ai valori, ma succubi dei capricci dei figli e vittime dei loro ricatti, sono lasciate da sole a alla deriva che nessuno vuole ammettere.

La politica che non trova risorse e mezzi, iniziative a tutti i livelli per arginare una tragedia che, al pari degli incendi, merita attenzione.

Bisognerebbe che tutti ci schierassimo, realmente e non a parole, dalla parte delle vittime, perché insieme (famiglie, politica e agenzie educative) realizzino un “patto educativo”. Non si tratta, infatti, di emergenze e fatti imprevedibili, ma di una costante che si ripete con le stesse dinamiche e con le conclusione che tutti conosciamo.

Una società che non sa, e Dio non voglia, non vuole tutelare i deboli, i piccoli, i poveri, e recuperare e integrare ogni diversità non è più una società e non merita di essere chiamata tale.

Le debolezze e le fragilità, se abitate/affrontate/vissute, come insegna papa Francesco, possono diventare punti di forza e portare energie nuove, soluzioni diverse, percorsi alternativi che potranno realizzare quella “civiltà dell’amore” in cui non solo i principi ma le persone siano protagoniste del loro presente come anche del loro futuro.

E poi, come insegna Giorgio La Pira “tra l’utopia e la realtà, di mezzo non ci sta il mare, ma la coscienza e la libertà di ogni persona”.

 

Padre Giovanni Calcara o.p.
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